Quando tutto questo sarà finito, quando torneremo ad abbracciarci e a riversarci nelle strade, nei bar, nei ristoranti, abbiamo il sentore che tutti i settori e tutti i servizi, andranno seriamente e inevitabilmente ripensati e riformulati sulla pelle di una società nuova, di un’umanità diversa e profondamente cambiata.
Quali ipotesi siamo in grado di formulare circa il comparto enogastronomico per il 2021? Se e come cambieranno ancora le abitudini dei consumatori a livello locale e globale? Gli imprenditori sapranno fronteggiare la situazione e adattarsi alle nuove esigenze passate le ondate e l'emergenza? Davvero avverrà la rivoluzione in senso anticonsumistico di cui tutti parlano e cui molti auspicano?
In attesa di ritrovarci noi stessi protagonisti dei futuri sviluppi, è chiaro che la rilettura delle tendenze food & beverage per il 2020 pubblicati dalla società di consulenza alimentare e della ristorazione Baum + Whiteman un anno fa, assume dei significati poco intellegibili e difficilmente interpretabili nell’attuale momento storico e in un tessuto sociale così irrimediabilmente mutato.
Arriva una pandemia mondiale ed improvvisamente i trend gastronomici passano in secondo piano, così come l’interesse verso l’uso delle spezie o il panino esotico dell’anno. Ha davvero senso, oggi, chiedersi se la kalette sarà il cibo del 2021?
Il report sulle novità previste per il 2021 dunque è di più ampio respiro: apre ai possibili scenari in senso globale e umano, cerca ipotesi laddove ancora non si vede la luce alla fine del tunnel, ma soprattutto cerca di individuare non più cosa mangeremo ma soprattutto come mangeremo.
Scopriamo insieme le principali tendenze individuate:
Meno ristoranti ma con più umanità
L’analisi parte da un dato di fatto di darwiniana memoria: le emergenze esaltano le debolezze e solo i più forti o coloro che meglio dimostrano di sapersi adattarsi al cambiamento, possono sperare di sopravvivere. Perché i ristoranti tutti (dalle trattorie alle catene) tornino a prosperare sarà necessario attendere almeno fino al 2024: al di là di questo, l’offerta sarà presumibilmente minore e i prezzi più alti. Viene anche da chiedersi se l’aumento dei prezzi significhi meno clienti a pranzo e cena fuori: allora occorrerà davvero un totale ribilanciamento del modello di business del settore.
Dell’imminente addio al menu cartaceo in favore di quello digitale ne abbiamo già parlato in un nostro precedente articolo. Ma alla fine di tutto, mangiare fuori vuol dire soprattutto socialità: nonostante le barriere, i gel, i QR code, gli orari e i tavoli ridotti all’osso. La sfida più grande, e su questo non potremo essere più d’accordo, sarà di quella di far tornare i ristoranti e i locali ad essere ambienti felici, piccole oasi di pace o di divertimento, garanti di una interazione umana sana, tra sala cucina e cliente ma anche e soprattutto tra gli ospiti stessi.
La casa e il comfort food per tutti
Quanto saranno permanenti i cambiamenti comportamentali nelle abitudini alimentari? Questa la domanda da un milione di dollari del report 2021: fermo restando che non sappiamo per quanto tempo ancora i bambini non mangeranno a scuola, i lavoratori non lo faranno in ufficio, e i viaggiatori non proveranno piatti negli aeroporti e nei ristoranti di tutto il mondo, possiamo affermare ufficialmente che house is the new black for food, è che il Covid è un vero catalizzatore per il target famiglie (così tanto che a volte sia la politica che le ricerche di mercato sembrano quasi dimenticarsi di numerose altre situazioni che meritano la medesima attenzione). L’entrata maestosa e prepotente del cibo dentro casa porta i consumatori a tornare alle origini e allo stesso tempo a ricercare e manipolare ingredienti speciali che solitamente si trovano solo nelle degustazioni di ristoranti blasonati.
Baum + Whiteman si aspetta poi che “le persone facciano acquisti a livello locale, ma mangino “globalmente”, alla ricerca di sapori e ingredienti esotici”. Pensiamo al successo della start up Mica Tuca che con il claim “Il mondo è la mia casa” ha ideato un abbonamento di box per avventurieri alimentari o semplicemente per tutti i viaggiatori curiosi che devono resistere alla nostalgia causata dai limiti imposti dalla pandemia: cibi, prodotti e ricette da tutto il mondo, comodamente recapitate a casa e pronti per essere trasformati in piatti prelibati. In America poi, pare ci sia stato un netto calo del consumo degli snack spezza pasto (junk food nella quasi totalità dei casi): un cambiamento epocale per alcuni paesi, forse meno sentito nel nostro.
Diversificare e fare brand
Con il 2020 si sono fermati anche ristoranti stellati o comunque dalla storia molto antica. Come hanno reagito questi professionisti del settore? Arrivando a casa direttamente con dirette Instagram e video corsi, proposte di cena più pernottamento presso catene alberghiere di prestigio (La Pergola di Heinz Beck presso il Rome Cavalieri Waldorf Astoria), kit per concludere il proprio pasto in casa (come i piatti orientali del Dumpling Bar o i kit di cucina umbra ideati da Paolo Trippini di Civitella del Lago) progetti di dark kitchen così ben strutturati da essere capaci di resistere e farsi in breve tempo nuova impresa (si guardi ad esempio al fish delivery 8pus pensato da Giuseppe Iannotti).
Con le box gourmet i cuochi portano un pezzo di cucina e tradizione dei loro più affezionati clienti, trovandone molto probabilmente anche di nuovi. Pensiamo al caso romano di Alfredo Alla Scrofa, che ha messo in barattolo la sua mitica salsa con burro e parmigiano, nelle giuste dosi e praticamente già mantecate a dovere.
Sarà molto interessante osservare in che direzione andranno e come evolveranno i brand dei ristoranti che entrano con nuove modalità nelle cucine domestiche, attraverso strumenti così diversificati e soprattutto adattati al momento storico. Noi ci aspettiamo che non vengano abbandonati anzi, che diventino presto una nuova leva di marketing, rappresentando una fonte di entrate incrementali che lavorano sull’immagine e fanno cassa, oltre che ad essere un’ottima strategia per riconquistare clienti persi negli anni nei grandi supermercati.
Lotta agli sprechi
La parte dedicata ai trending flavors è minima e comunque ricalca tendenze già viste ovvero l’uso mixati di spezie per dare originalità e nuovi interpretazioni a piatti anche semplici come ad esempio la pizza. In generale i clienti ricercano sempre più prodotti salutari, in grado di garantire l’immunità anche in campo alimentare, mentre ristoratori e produttori ampliano l’offerta sforzandosi di catturare il numero più alto di clienti possibili: a nostro avviso, questa strategia, a lungo andare premierà solo coloro che non perderanno mai di vista il loro target di riferimento, o comunque che andranno avanti senza tradirlo.
Quello che è certo, è che cucinare e consumare i pasti sempre in casa fa necessariamente porre una maggiore attenzione verso gli sprechi giornalieri e di aiuta ad gestire meglio cibi e ingredienti a disposizione.
Abbiamo chiesto a Ludovica Principato, Consulente scientifica per la sostenibilità e docente presso l’Università di Roma Tre, quali sono gli ultimi dati disponibili sugli sprechi alimentari in Italia e in Europa per quanto riguarda il 2020:
"Secondo la FAO, ogni anno un terzo della produzione globale di cibo, equivalente a 1.3 miliardi di tonnellate, viene perso o sprecato lungo l’intera filiera agroalimentare. Le perdite e gli sprechi alimentari, considerando i fattori economici, ambientali e sociali associati al fenomeno, hanno un costo annuale totale pari a circa 2,6 miliardi di dollari e sono responsabili dell'8 % delle emissioni globali di gas serra. Per quanto riguarda l’Italia, secondo le stime di Coldiretti e dell'Osservatorio nazionale per gli sprechi Waste Watchers, oltre il 70 per cento dei rifiuti avviene durante le fasi di consumo domestico e nella ristorazione.

La buona notizia è che attenzione è stata fatta e gli sprechi sono effettivamente diminuiti: infatti, lo spreco alimentare nelle nostre case ha avuto quest’anno un costo medio di 4,9 a settimana a famiglia, circa il 25% in meno rispetto ai dati del 2019, quando il costo medio a famiglia registrato è stato di 6,6 a settimana."
Abbiamo chiesto inoltre alla dott.ssa Principato com’è cambiato, mangiando sempre in casa, l’atteggiamento dei nuclei familiari nei confronti degli sprechi alimentari, a livello sia di mentalità che di abitudini:
"Insieme a Giovanni Mattia dell’Università di Roma Tre e a Clara Cicatiello e Luca Secondi dell’Università della Tuscia, in una ricerca sul periodo del lockdown pubblicata dalla rivista Socio-Economic Planning Sciences, abbiamo riscontrato risultati incoraggianti: l’approvvigionamento del cibo e le abitudini di consumo sono cambiate radicalmente, ma le famiglie hanno seriamente iniziato ad attuare buone pratiche di gestione alimentare,come il redigere una lista della spesa e la pianificazione settimanale dei pasti. Il fatto di poter fare la spesa meno volte e di avere sempre tutta la famiglia al completo in casa, ha portato, infatti, la maggioranza delle persone a gestire con più attenzione il consumo di cibo domestico, e a ridurre di conseguenza gli sprechi. Questo cambiamento ha riguardato in misura più spiccata i giovani che, da ricerche precedenti, sono proprio i consumatori che di solito sprecano di più."
Interessante anche il punto di vista di una start up come Too good to Go (di cui abbiamo già parlato qui), il progetto che rivolge al settore dei ristoratori con l’obiettivo di aiutarli a gestire e smaltire senza sprechi le rimanenze alimentari, problema quanto mai attuale in era Covid.
"Sicuramente implementare un’idea come questa nel 2020 è stata una sfida nella sfida – afferma l'Area Manager di Pierluigi Simmini: all'inizio della pandemia c'era tanta incertezza vista la chiusura totale dei locali. Alla parziale riapertura, invece, abbiamo realizzato come durante questo periodo delicato siamo stati e siamo tuttora un'importante opportunità. Questo, sia in un'ottica di valorizzazione dei crescenti invenduti e sia in quella pubblicitaria rappresentando uno strumento digitale fondamentale ormai per il loro stesso sostentamento. Tutto ciò ci ha trasmesso tanto orgoglio e fiducia, consapevoli di essere un aiuto reale per i ristoratori."
E per quanto riguarda il settore dell’ospitalità?
"Mentre il settore alberghiero non ha avuto grandi problemi di eccedenze alimentari (alla riapertura inevitabilmente sono stati annullati i modelli di somministrazione "a buffet" che sono sicuramente i format a maggior eccedenza e spreco alimentare), la ristorazione ha dovuto affrontare piuttosto seriamente la questione: ci sono state eccedenze nei mesi di chiusura sotto forma di scorte in magazzino non utilizzate e durante la riapertura la poca prevedibilità dei flussi di vendita e la mancanza di un dato storico attendibile ha creato ulteriore spreco."
Vedete un maggiore cambiamento in ottica di lotta agli sprechi del consumatore o del ristoratore?
"C'è una maggiore e crescente sensibilità da parte di entrambi; le conseguenze della pandemia hanno portato i ristoratori a sviluppare un maggiore attaccamento ai loro locali e ai loro prodotti. I consumatori hanno avuto tempo e modo di fare maggiore pratica in cucina per cui l'attenzione nel riutilizzo degli ingredienti e prodotti è sensibilmente cresciuto."
Non tutto il male insomma vien per nuocere e questo non può che darci la spinta per sperare in un 2021 migliore. Concludiamo questo approfondimento sui trend Baum + Whiteman con la certezza che, in assenza di una magica palla di vetro, il nuovo anno è davvero una grandissima incognita: più che identificare tendenze dovremo essere tutti, in questo caso ristoratori e professionisti del digitale e della comunicazione, in grado di identificare tutte le nuove esigenze a livello umano, andando loro incontro. Aprire nuove strade senza snaturarsi, diversificare avvalendosi dell’esperienza e, perché no, anche sperimentare analizzando il passato e sperando nel futuro.
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