Anche il 2019 si apre, come di consueto, con il desiderio di prevedere in anticipo le prossime tendenze a livello mondiale e locale, dall’abbigliamento alla musica, dal design al food. In fatto di cibo, è ancora Baum + Whiteman a imporsi come una tra le fonti più attendibili in termini di trend, mode culinarie e novità gastronomiche talmente forti da circumnavigare il globo nel corso dell’intero anno.
Vediamo nel dettaglio le principali aspirazioni del settore e cerchiamo di capire insieme le possibili declinazioni italiane dei food trend 2019.
Contaminazioni gastronomiche dai seguenti paesi:
Cina e Sichuan: In questa particolare zona della Cina è solito trovare piatti complessi dai gusti molto contrastanti tra loro. Non è un caso che gli chef di fama mondiale delle ultime generazioni selezionino sapori fino ad ora poco utilizzati come l’aspro e l’amaro, tipici di queste zone: sentori che, se uniti al piccante, aggiungono sensazioni inedite nell’esperienza di degustazione. Preparatevi ad trovare un po’ ovunque aglio, zenzero, peperoncino e spezie varie: tutti elementi che prediligono una cottura più a secco, senza l’ausilio di brodi né acqua. In crescita anche i cosiddetti Bings, versione cinese dei più noti burritos, ben farciti di carne, verdure fritte, uova e salse varie.
Corea: i sapori coreani (aspro e agrodolce) invaderanno sempre di più le ricette di tutto il mondo: caffè, cioccolato, broccoli, germogli ma anche rabarbaro, melograni, aranci e lime sono tra gli ingredienti più utilizzati dai cuochi coreani. Ma sentito parlare del kimchi? È il piatto tradizionale coreano per eccellenza composto da verdure fermentate con spezie. Grazie alla ricchezza di probiotici viene considerato il cibo della lunga vita ma anche il suo sapore, intenso e fuori dal comune, scommettiamo possa incuriosire un numero sempre maggiore di foodies.
Roma e Milano sono al passo con i tempi: nella Capitale ha aperto già da qualche anno Galbi, con piatti di cucina coreana contemporanea e BBQ, mentre al nord l’appuntamento è da Hana Duomo, locale caratteristico e all’avanguardia.
Taiwan: Un grande exploit è atteso dalla cucina Taiwanese, ricca di ricette proteiche e saporite: pensate a soffici panini al vapore ripieni di maiale cotto alla brace, omelette con ostriche, erba cipollina e tofu a volontà….
Giappone: Quando nel 2015 sono stata in Giappone ho potuto testarlo con mano: la cucina nipponica non è solo sushi, anzi! Il Katsu è carne di maiale impanata e fritta, servita con cavoli e una salsa di pomodori piccanti, spesso racchiusa in un sandwich di pane, croccante fuori e morbido dentro.
Una cotoletta ma all’orientale, rivisitata con ingredienti locali. Come concetto, nulla che non avessimo già visto a Milano o in Baviera, ma si sa, il poter del fritto è sconfinato.
Asia Centrale: Anche paesi come Kazakhstan, Tajikistan, Azerbaijan, Uzbekistan (i cosiddetti Stans) con il loro utilizzo in cucina di spezie ed erbe, saranno le protagoniste delle tavole 2019, in un ponte gastronomico immaginario che lega da un punto di vista nuovo l’Oriente all’Occidente.
Restaurant design: dal minimalismo al colore
Basta bianco e nero, arredi troppo nordici o mattoncini: il design dei luoghi di ristorazione si prospetta sempre più decorativo e vivace, forse per fare da contraltare alle preoccupazione della vita di tutti i giorni. Il confronto passa anche dal mondo della moda e chissà che anche le nuove location non vengano influenzate dal “Living Coral” (16-1546), il colore che Pantone ha scelto per il 2019: una tinta forte, ottimista, socievole e dalla forte personalità, in grado di influenzare e rendere giocose anche le situazioni più adulte. Grande attenzione anche nei confronti dell’acustica per rendere l’esperienza gastronomica gradevole a 360°.
Carne sintetica
Mentre in Italia il numero uno di Filiera Italia, Luigi Scordamaglia, manifesta tutta la sua preoccupazione per un imminente avvio di un regime alimentare di sintesi chimica e per le centomila famiglie che nel nostro paese legano il proprio reddito agli allevamenti di carne bovina, negli Stati Uniti il business da oltre 6 miliardi di dollari è già partito. Al CES di Las Vegas Impossible Foods ha presentato un hamburger 2.0, succoso e saporito, realizzato in laboratorio senza l’utilizzo di animali vivi ma solo attraverso le loro cellule, prelevate, studiate, manipolate e riprodotte il larga scala in laboratorio.
Con una stima di crescita di oltre il 40%, ad oggi ancora non si sa con esattezza nè come chiamarla (fake meat?) né di quanto sarà possibile abbassarne i costi: si può però ipotizzare che non si tratterà di una vera e propria sostituzione all’interno di una dieta, tantomeno di una soluzione etica per i vegetariani e i vegani, quanto piuttosto di una ulteriore tipologia di offerta per i consumatori. Offerta che, in ogni caso, risponde all’esigenza globale di produrre più cibo con meno risorse esauribili.
Meal Kit:
In generale, complice anche l’aumento dei prezzi dei ristoranti, oltre al delivery, è in crescita anche l’home cooking, ovvero la preparazione in casa di piatti pronti, attraverso l’ausilio di kit già pronti e dosati. Largamente disponibili in America online e presso i supermercati, in Europa (in particolar modo UK e Germania) sembrano già essere un po’ in crisi. L’idea è buona, lo spreco minore ma c’è troppo divario tra il loro prezzo e quello dei singoli ingredienti disponibili della grande distribuzione. Insomma, costo alto e troppi vincoli in cucina. In Italia esistono alcune startup che hanno deciso di tentare la fortuna in questo campo, pensiamo a Quomi e Cuc....staremo a vedere!
Marijuana mainstream:
La marijuana è l’ultimo boom gastronomico che si rivolge al target dei Millennials ma anche dei vegetariani, dei vegani, degli amanti della meditazione o della mindfulness. In Italia, il Fink Gasthaus di Bolzano, alle sue specialità altoatesine ha scelto di affiancare nel menu una pizza il cui impasto è realizzato con la cannabis. Sempre in bilico tra fast food e gourmet, c’è da scommettere che ne sentiremo ancora parlare.
Automazione
Si sa, la potenza è nulla senza il controllo, ed è con questa premessa (unita alla voglia di far quadrare i conti) che i nuovi ristoranti tenderanno sempre più ad automatizzare: servizio in sala, pulizia, prenotazioni, recensioni, lavori in cucina. Riusciranno però, i nuovi ristoratori, a far restare intatta l’anima di un luogo dove l’azione primaria dovrebbe continuare ad essere il mangiare e non la condivisione social? Forse questo può accadere solo tenendo alta la qualità del cibo e mantenendo gli spazi creativi digitali ben distinti dall’aspetto più conviviale e gastronomico.
In America il processo di automazione è già parecchio avanzato. Per quanto riguarda l’Italia, nel testo “Innovare nella ristorazione” di Alessandra Coltro e Jessica Malfatto, si trovano molti esempi recenti utili a comprendere meglio la direzione che molti ristoranti stanno prendendo per sopravvivere alla crisi ma anche per ridurre i costi e variegare l’offerta: nel nostro paese i locali diventano più piccoli, e polifunzionali, aprono tutto il giorno e offrono menu digitali al tavolo con una selezione di piatti più particolare nella qualità ma limitata nella quantità, per contenere sprechi e risorse.
Concorrenza sleale
Infine, moltissimi ristoratori ormai lamentano la competizione sempre più incalzante con luoghi che nascono con altri intenti ma che tra i vari servizi mettono a disposizione anche pasti, caffè, merende, wi-fi, centrifughe, bagels e chi più né ha più ne metta, in postazioni e location piacevoli e alla moda.
Si tratta di teatri, banche, musei, scuole. I forni diventano bakery caffè (nella Capitale pensiamo alla virata del noto Gianfornaio, prima forno di quartiere, oggi luogo dove colazione, pranzo, merenda e aperitivo si mescolano con disinvoltura attorno a prodotti da forno di qualità), i foyer simulano dei veri e propri bistrot (sempre a Roma pensiamo al Teatro Quirino, in pieno centro) e le sale di esposizione alternano l’arte alla convivialità che un buon caffè e un calice di vino sono in grado di regalare al visitatore alla continua ricerca della grande bellezza.
La soluzione deve necessariamente essere abbandonare l’idea di farsi la guerra e, piuttosto, mettere il più possibile a fuoco il proprio concept di ristorazione.
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