Qualche giorno fa L'Accademia della Crusca ha lanciato i suoi strali contro il mondo del business e tutti quei termini di origine britannica che hanno colonizzato i discorsi aziendali e persino quelli dell'ambiente accademico: da analisi on desk a benchmark e tool, il linguaggio delle imprese e delle università è tutto un fiorire di parole prese in prestito che sostituiscono con il loro alone di mistero termini italiani più chiari, già presenti nell'uso dei parlanti. Anche se il gruppo Incipit dell'Accademia si rivolge specialmente agli atenei italiani, trema il mondo del marketing e noi di B-eat Digital Kitchen ci dichiariamo colpevoli, fino all'ultimo debrief.
E che dire del mondo del cibo, diventato negli ultimi anni food, senza nemmeno la scusa del risparmio di caratteri su Twitter? Ecco, per dare una mano agli amici dell'Accademia della Crusca, abbiamo pensato di stilare una breve lista di anglicismi enogastronimici che in nessun caso sono più belli delle corrispondenti parole in lingua italiana, eppure con la loro immediatezza hanno conquistato gli addetti ai lavori tanto quanto il grande pubblico.
Cominciamo con la degustazione che negli ultimi anni si è trasformata in tasting, perdendo buona parte del suo fascino iniziatico; stessa sorte tocca alle enoteche che si trasformano in banalissimi wine shop, mentre la consistenza di cibi e bevande ricorda le ore passate su Photoshop con il vocabolo texture, un vero passepartout. E poi: solo a me il termine beverage, che nei discorsi degli specialisti del settore va sostitendo bevande, ricorda gli abbeveratoi per animali e le taverne da romanzo medievale?
Funziona anche al contrario, che pur di trasferire alla cosa di cui si parla un'allure internazionale, facciamo fuori cuochi e pasticceri trasformandoli in chef e giustifichiamo il consumo di cibo spazzatura perché dire junk food fa un po' meno schifo. E i ristoranti, pur di attirare una clientela più mondana, hanno smesso di servire colazioni, pranzi e cene e cominciano la giornata con un breakfast, proseguono con un lunch e la chiudono con una bella dinner. Salvo poi tornare all'italiano per l'orribile apericena, una parola macedonia che nessuno ha mai pronunciato, pare, ma che si ritrova puntualmente sugli inviti agli eventi.
La dieta, di qualsiasi tipo essa sia, sembra restringere il vocabolario ancor più del girovita, perché i cibi leggeri diventano light, quelli senza zuccheri sugar free (ma anche lactose free, gluten free... e qualsiasi altra liberazione e dubbio di pronuncia siano consentiti dalla chimica degli alimenti) e quelli a basso contenuto di carboidrati diventano low-carb.
E visto che oggi ci togliamo qualche sassolino anglofono dalle scarpe, vogliamo parlare degli hashtag, ormai entrati nel linguaggio quotidiano a Roma come a Hong Kong?
Ovviamente, si fa per scherzare. Come ho scritto all'inizio, sono colpevole, colpevolissima e qualche volta avrei bisogno di qualcuno che mi dicesse: ma parla come mangi (foto esemplificativa in basso)!
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