Inviato da Chiara Macchiarulo il Mer, 15/06/2016 - 12:53

Oltre alle alle app più adatte a fotografare il cibo, nella cassetta degli attrezzi di ogni foodie che si rispetti non può mancare la conoscenza di quel linguaggio più o meno esoterico necessario a comunicare con i propri simili. Come dice Nanni Moretti, le parole sono importanti, e lo sono forse anche di più quando vengono assemblate creativamente per formare gli hashtag. Se state leggendo quest'articolo molto probabilmente sapete già cos'è un hashtag, quindi facciamo che non ve lo spiego, ma se volete approfondire trovate due parole sugli hashtag qui.

Gli hashtag nascono nel favoloso mondo di Twitter, per poi approdare con furore sui variopinti lidi di Instagram, dove oramai regnano indisturbati. Qualcuno si ribella, qualcuno ne abusa, qualcun altro si rassegna e cerca di capirci qualcosa. Gli hashatg più potenti si trasformano in parole ed entrano nell'uso, travalicano praticamente ogni lingua del mondo fino a far parte del linguaggio comune, sostituendo spesso sinonimi già presenti. 

Il termine forse più diffuso è abusato è foodporn, che associa cibo e sesso all'insegna dell'estetica e del piacere: pensate a una pizza ricoperta di mozzarella filante, immaginate di tagliarne una fetta e avrete un'idea del concetto. Se non vi basta, addentate quella pizza - mi raccomando, deve essere una di quelle davvero buone - e lasciate divertire le vostre papille gustative, direzione foodgasm. Un'esperienza da veri e propri foodlover, insomma, accogliente campo semantico che ospita anche winelover beerlover, perché - si sa - mica si può mangiare a secco...

Insomma, ora dovrebbe esservi chiaro che non tutti amano soltanto fotografare il cibo: se è vero infatti che il food design sta diventando un'arte e i food designer veri e propri artisti, è altrettanto vero che aumenta vertiginosamente il numero di foodtrotter, disposti a tutto pur di raggiungere quel posticino sperduto sugli Appenini dove si produce il miglior marcetto dell'universo. Quelli che sono disposti a farsi il percorso anche a piedi, possiamo chiamarli affettuosamente foodaddicted foodaholic.

Da umanista non posso fare a meno di chiedermi che cosa ne penserebbe Dante, poi mi ricordo dello spirito linguisticamente avventuroso del sommo poeta e la grammar nazi che è in me tace, e subito carica un'altra foto su Instagram.

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