Inviato da Maria Silvia Sanna il Lun, 09/09/2013 - 09:09

Prendi una frisella. La bagni sotto il rubinetto, poco altrimenti si ammolla. La condisci con alcuni pomodorini, che sciacci uno ad uno sulla superfice ruvida del caratteristico pane secco, aggiungi un po' di capperi strizzati tra i polpastrelli e poi sale, origano e un filo d'olio. Con soddisfazione, la prendi con le mani - è vietato l'uso delle posate! - e finalmente l'addenti. Ora, mentre vi accorgete che pensare a questo procedimento gastronomico vi ha fatto venire l'acquolina in bocca, pensate a una scena diversa: andate al bar, ordinate una frisella condita a puntino, proprio come la fareste voi. La mangiate, sempre usando le mani e sporcandovi quanto basta, ma stranamente non ha lo stesso sapore.

Perché? Un recente studio di psicologia dei consumi ha confermato ciò che, da golosi, abbiamo sempre istintivamente saputo: se segui un rituale di consumo ciò che mangi diventa più buono.

Che cos'è un rituale di consumo? 

In senso antropologico, rituale è una precisa sequenza di azioni nella quale si coagulano coinvolgimento emotivo, aspettative e credenze. Il rituale non è un'abitudine o una routine: mentre queste ultime sono pressoché automatiche ma piuttosto insignificanti, i gesti che compongono il rituale sono densi di senso. Per vivere un rituale, non basta seguire le istruzioni: bisogna crederci. Quasi senza rendercene conto, seguiamo continuamente rituali di consumo, spesso legati proprio al cibo. Dai villaggi tribali alle metropoli postmoderne, il simposio, vale a dire il rituale che ci porta a mangiare con gli altri membri della stessa comunità, è un forte collante sociale, poiché è un momento di comunione che viviamo insieme alla nostra tribù, che sia la nostra famiglia riunita a colazione o la pausa pranzo con nostri colleghi allo stesso tavolo di un ristorante.

In alcuni casi il rituale, inteso come un certo modo di mangiare un prodotto o di servire un pasto, diventa parte del branding: pensate alle ordinazioni da Starbucks, alla fettina di lime con cui la Corona viene servita e gustata, ai bambini (o ex bambini ormai cresciuti) che disegnano con la forchetta ampi sorrisi di pomodoro sui Sofficini Findus.

Spillare una Guinness richiede circa due minuti: il bicchiere viene riempito per tre quarti e poi, quando la schiuma si depone, si può finire di riempire il bicchiere. Tutti i baristi al mondo fanno così.

Negli anni Novanta il birrificio irlandese stava perdendo quote di mercato in Gran Bretagna, perché i clienti al bar erano troppo frettolosi per aspettare la posa della schiuma. La Guinness organizzò una massiccia campagna pubblicitaria con spot televisivi all'insegna di messaggi come "Ci vogliono 119,53 secondi per versare una pinta perfetta" e "Le cose buone sono per chi sa aspettare". Oggi quel modo particolare di versare la birra fa parte dell'eperienza di bevuta che caratterizza il brand. Di più: centinaia di turisti, ogni giorno, vanno in pellegrinaggio alla fabbrica della Guinness e dopo aver scoperto i processi produttivi della scura più venerata al mondo, si divertono a spillare la propria pinta seguendo pedissequamente i gesti indicati dal maestro birraio.

Come può un rituale migliorare il gusto di una pietanza o di una bevanda? Tutta questione di percezioni, come ci spiega la psicologia. 

L'intuizione che i comportamenti ritualizzati possano potenziare l'esperienza di consumo non è una novità, ma Kathleen D. Vohs, docente di marketing alla facoltà di Management dell'università del Minnesota e appassionata studiosa di psicologia, ha cercato di dimostrarlo scientificamente e, stando ai risultati dei suoi quattro esperimenti, pare che ci sia riuscita. 

Nel primo esperimento la professoressa ha chiesto a un gruppo di studenti di mangiare una barretta di ciocciolato seguendo specifiche istruzioni per scartarlo, al gruppo di controllo, invece, ha chiesto semplicemente di mangiare il cioccolato in maniera rilassata, come fanno di solito. Curiosamente, quelli che avevano seguito un rituale di consumo, per quanto semplice e non cementato da nessun tipo di tradizione, hanno impiegato più tempo degli altri a gustare la barretta e in un successivo questionario hanno assegnato un valore più alto al gusto del cioccolato e hanno affermato che sarebbero stati disposti a pagare 25 centesimi in più per comprarlo rispetto al gruppo di controllo.

Il secondo esperimento, simile al primo, è stato condotto usando delle mini-carote al posto del cioccolato. Prima di mangiare la prima carota gli studenti dovevano ripetere uno schema di gesti deliberatamente sciocchi e per nulla correlati all'azione di mangiare, poi, dopo una breve attesa, gli studenti potevano mangiare anche la seconda. Altri studenti, invece, non dovevano compiere alcuno schema di azioni, ma semplicemente mangiare le carote. La scoperta della professoressa Vohs è stata che, rispetto agli altri, gli studenti che avevano dovuto compiere lo strambo rituale, mostravano livelli di attesa più alti per la seconda carota, nonostante la ricompensa fosse solo una verdurina da quattro calorie. 

Per il terzo esperimento, è stato chiesto a un gruppo di persone di mangiare una pietanza dopo aver osservato un rituale di preparazione e a un altro gruppo di mangiarla senza aver visto il procedimento. Non ci sono state variazioni significative nelle valutazioni del gusto della pietanza tra i due gruppi. Questo esperimento sembra dimostrare che i neuroni specchio non entrano in scena: perché il cibo appaia più saporito, bisgna essere partecipi del rituale stesso. 

Nel quarto esperimento è stato chiesto ad alcuni studenti di valutare quanto fosse divertente o interessante mangiare qualcosa: la domanda è stata fatta sia a coloro che avevano seguito uno schema di azioni, sia a quelli che avevano semplicemente mangiato qualcosa. L'alto livello di coinvolgimento psicologico di quelli che avevano seguito una sorta di rituale sembra essere la chiave del loro maggiore gradimento: il focus sul cibo rende il cibo più desiderabile e, alla fine, più gustoso. 

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