Crisi e alti costi di di produzione, contro un guadagno che corrisponde a una percentuale minima del prezzo del prodotto finale, mettono in crisi i coraggiosi che applicano metodi di coltura biologici e biodinamici. Se l'agricoltura sostenibile per l'ambiente diventa insostenibile per gli agricoltori, come dare vita a un circuito virtuoso che metta in circolo prodotti buoni e sani? Ne abbiamo parlato con Giacomo Bracci Helsen, founder & CEO di Jenuinō.
Silvia: Quali sono il contesto e le difficoltà con cui si misurano oggi gli agricoltori?
Giacomo: Pur realizzando prodotti di assoluta eccellenza, molte fattorie faticano a sopravvivere a causa della crisi economica e delle barriere che incontrano nell'accesso ai mercati. Se gli agricoltori varcano la porta di una banca chiedendo liquidità per acquistare le materie prime per la stagione successiva, spesso ricevono un no come risposta o tassi di interesse molto elevati. In più, non sempre agricoltori hanno le risorse, i fondi, l’energia e il know-how necessari per promuovere e vendere gli ottimi prodotti che realizzano. Alcuni di loro chiudono; altri chiedono aiuto finanziario all'Unione Europea; altri ancora “svendono” i propri prodotti alla grande distribuzione. Di solito queste multinazionali, orientate esclusivamente al profitto, mettono in seria difficoltà l’agricoltore. È complicato per le piccole aziende orientate alla qualità competere con i grandi nomi che monopolizzano l'agribusiness, così alcuni coraggiosi tentano di attivare forme di vendita diretta. Ma questo non è né facile né economico. Ci vuole esperienza, tempo a disposizione e un investimento difficile da ammortizzare.
Silvia: Ed è in questo contesto che si inserisce Jenuinō: vuoi spiegarci che tipo di servizi offrite?
Giacomo: Jenuinō funge da ponte tra le famiglie che producono e quelle che consumano, senza intermediari, accorciando al minimo la filiera e garantendo l’eccellenza nei processi e nel prodotto finito. In un mercato globalizzato, comandato dalle multinazionali del cibo, mettere insieme le forze e fare sistema è diventato, oggi più che mai, non una possibilità ma una necessità. Attraverso il progetto miriamo a supportare le aziende agricole vendendo ai nostri clienti (famiglie, singoli, ristoranti, hotel, catering) abbonamenti a ceste di prodotti tipici di alta qualità. Investendo alla fonte e provvedendo a garantire un mercato attraverso vendite pre-pagate, gli agricoltori dovranno preoccuparsi sempre meno dell’invenduto e avranno più tempo per concentrarsi su quello che sanno fare meglio, produrre cibo sano e di qualità per noi e i nostri figli.
Silvia: come siete approdati a questo progetto? Quali idee vi hanno ispitati?
Giacomo: Il progetto affonda le sue radici su idee preesistenti di successo internazionale: un modello di business chiamato CSA (Community Supported Agriculture) che consiste in una comunità di individui che supportano un azienda agricola trasformandola in una fattoria comunitaria dove produttori e consumatori offrono aiuto reciproco e sinergico condividendone pochi rischi e molti benefici. Nato negli anni '60 in Giappone, Germania, Svizzera e Korea, il movimento delle CSA si é modificato nel tempo e si é sviluppato soprattutto negli U.S.A. dove conta oramai più di 18.000 realtà attive. Succede però che le CSA hanno, come i gruppi di acquisto, dei grossi limiti da un punto di vista logistico. Vale a dire che la famiglia é costretta ad andare, a turno, a reperire i prodotti una volta a settimana in fattoria, cosa difficile per una famiglia che vive in aree urbana. Come le CSA stanno infatti emergendo nuove realtà, network legati al cibo dove i consumatori diventano co-produttori, rimanendo informati di come il loro cibo viene prodotto, supportandone l'etica e la realizzazione.
Silvia: E, a proposito di produzione, come selezionate prodotti e produttori?
Giacomo: I produttori sono esclusivamente biologici e biodinamici. Se non lo sono, abbiamo un nostro agronomo Jenuinō che si fa carico di andare a trovare l'azienda e controllare gli ultimi trattamenti. Se l'azienda è idonea la inseriamo sulla piattaforma altrimenti può avere i prodotti più buoni del mondo ma a Jenuinō non interessa... Abbiamo anche aziende non bio, nel caso di un agricoltore di novant'anni, che ha un ettaro di mele autoctone, legate alla biodiversità locale del Monte Amiata. Direte che siamo talebani, però le odierne dinamiche del marketing hanno creato nella mente del consumatore un'associazione diretta e quasi sempre falsa: buono e bello uguale sano, beh non è cosi; ecco perche i prodotti jenuni devono essere buoni e sani.
Silvia: Cosa fate per connettere agricoltura e cultura diventando motore di innovazione sociale?
Giacomo: Jenuinō è un social network multi-local e non un freddo sito di e-commerce. La nostra comunità virtuosa aiuta i propri membri ad incontrarsi sia online che offline, per potersi scambiare sapori e saperi; opinioni sui prodotti e proporne di nuovi, dal basso. Jenuinō incentiva i propri utenti a evolversi in co-produttori attraverso corsi e degustazioni, supper-club, fiere del baratto, o li aiuta semplicemente ad incontrare altri amanti del buon cibo. Gli utenti possono prenotare una nottte in agriturismo o prenotare dei corsi di produzione di formaggio, norcineria o esperienze che annullino le distanze fra l'urbano e il rurale. È importante riscoprire il piacere degli eventi rurali di aggregazione, quali la transumanza, la vendemmia, la raccolta delle olive: rituali collettivi che in passato erano veri e propri giorni di festa e che oggi stanno perdendo di significato. Il cibo è cultura e tradizione: mangiare è un atto agricolo che trasforma la natura in cultura.
Silvia: Qual è stata la vostra strategia di ingresso sul mercato e quali sono le vostre prospettive future?
Giacomo: Abbiamo iniziato con un blog per sensibilizzare l'opione pubblica sul pianeta cibo e alimentazione e su tutto quello che vi gravita intorno. abbiamo sostenuto il tutto con un minimo di social media in modo da creare interesse. Il prossimo step è unire digital e territorio, realizzando eventi, supperclub, aperitivi, etc. Il passaggio da blog a società prevede che tra pochissimo jenuino lanci il suo social commerce, un mix fra e-commerce e social network con molteplici scopi:
- aiutare gli utenti ad interagire fra loro e incontrarsi nella dimensione reale, dando loro la possibilità di scambiarsi ricette, votare prodotti, proporne di nuovi secondo una logica di crowdsourcing, creare eventi come club legati al cibo, mercati itineranti, fiere del baratto, forni sociali, supperclub;
- connettere produttori e consumatori. Gli utenti possono visitare la fattoria, co-creare il cibo che poi consumeranno, attraverso corsi di produzione di formaggio, norcineria, etc.;
- fare entrare i consumatori nel romanzo, nel dietro le quinte del prodotto, attraverso contenuto esclusivo nella forma di mini documentari sui processi produttivi, interviste al fattore, etc etc.;
- creare contenuto (ci stiamo gia provando con il blog da un paio di mesi) cercando di divenire un punto di riferimento sul pianeta cibo e su tutto quello che vi gravita intorno;
- permettere agli utenti di praticare turismo enograstronomico.
Abbiamo tante altre idee in testa, ma dobbiamo avere i piedi ben ancorati a terra. Fra i vari progetti abbiamo una fondazione sulla biodiversità dove dei contadini metteranno a disposizione il loro know-how per corsi di avviamento all’agricoltura in modo tale che, chiunque sia interessato a cambiare vita, abbia gli strumenti necessari per farlo. A chi non è capitato di dire “mollo tutto e vado a vivere nel bosco”, poi pero la realtà è ben diversa e se non si è preparati il sogno puo diventare un incubo!
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