Inviato da Chiara Macchiarulo il Mer, 21/09/2016 - 16:01

Dai campi agli scaffali dei supermercati, la filiera agroindustriale italiana conta oltre 2 milioni di imprese e più di 3 milioni di addetti, per un totale di 130 miliardi di euro di ricchezza: più del 9% del PIL. 

Questi e altri dati sono contenuti nella serie di report realizzati da Agrifood Monitor e dedicati a uno dei settori più strategici dell'economia del nostro Paese, quello alimentare. Agrifood Monitor è "la prima piattaforma sull'agribusiness italiano", nata dalla partnership tra Nomisma - Società di studi economici - e Crif - azienda specializzata in sistemi di informazioni creditizie.

I report, primo risultato tangibile di questa collaborazione, sono una vera e propria miniera di informazioni per chiunque operi nel settore food&beverage, a ogni livello e momento della filiera. Sistematizzati per argomento, si focalizzano ciascuno su un aspetto del comparto, fornendo una serie di spunti utili e interessanti. Vediamoli insieme più da vicino.

Struttura di filiera

In Italia, la filiera agroindustriale è composta da tre fasi: quella produttiva, quella meccanica e quella distributiva e commerciale. Incrociando il numero delle imprese della filiera con quello degli addetti in essa coinvolti, è subito chiaro come la maggior parte delle aziende italiane del comparto siano di piccole dimensioni, impegnando ciascuno in media 1,6 lavoratori. Questo non impedisce alla filiera di creare notevole ricchezza non solo in senso assoluto, ma anche se confrontata all'andamento economico generale. Nello specifico, sono la testa e la coda della filiera a produrre più valore, ossia - rispettivamente - l'agricoltura e la ristorazione.

Con il 28,5%, l'agricoltura è il comparto della filiera agroalimentare nostrana più redditizio. Anche nel contesto europeo, l'agricoltura italiana conferma la sua rilevanza, sia a livello di superficie agricola utilizzata - circa il 7% di quella totale europea - che a livello di produzione di ricchezza.

La seconda fase della filiera - quella meccanica - ha prodotto, nel 2015, un fatturato che supera i 20 miliardi di euro: circa il 18% dell'intero comparto. Per questa fase della filiera, l'export sui mercati esteri è fondamentale, con un'incidenza che oscila dal 46 all'81% del fatturato. 

La fase distributiva e commerciale della filiera è quella statisticamente più interessante: nonostante le piccole dimensioni delle aziende che ne fanno parte, la loro produzione di ricchezza è pari se non superiore alle omologhe dei principali paesi europei. Questo, probabilmente, è dovuto alla diversa percezione del Made in Italy non solo in Europa ma in ogni parte del mondo. Le dimensioni delle aziende tornano in ballo quando si parla di export: solo le più grandi riescono a uscire fuori dai confini nazionali, mentre le più piccole tendono a soffrire la mancanza di opportunità per approdare nei mercati esteri.

Un ultimo aspetto interessante della filiera agroindustriale italiana è costituito dal rapporto tra canali di vendita off trade a canali di vendita on trade. La GDO conquista la maggioranza assoluta a livello off trade, confermando una tendenza delle abitudini di consumo analizzate più nel dettaglio in un secondo report di cui si dirà in seguito. Lo stesso accade per l'on trade: il ristorante diventa uno dei luoghi preferiti di acquisto e consumo di prodotti alimentari in Italia, a supporto della tendenza dei consumatori nostrani a mangiare fuori casa.

Consumi alimentari

Per quanto riguarda i consumi alimentari, invece, emergono alcuni spunti interessanti soprattutto a proposito della diffusione sopracitata dell'abitudine degli italiani di mangiare fuori casa: nel decennio 2005-2015, questo dato ha visto una crescita di ben il 30%. Nella generale crisi dei consumi, però, sono quelli alimentari a soffrire di più, o meglio a cambiare in maniera consistente. Aumenta la spesa per frutta, verdura, pesce, a conferma della maggiore attenzione per uno stile alimentare più sano e consapevole.

I criteri di scelta principali che orientano le scelte d'acquisto sono tre: su tutti vince il Made in Italy, criterio principale per il 34% - più di un terzo - dei consumatori, seguito dal prezzo (22%) e dal brand (14%). Aumenta il peso delle offerte promozionali sulla preferenza di un prodotto a un altro, passando dal 18,4% del 2000 a ben il 31% nel 2015, a conferma di quella sofferenza dei consumi sopracitata. Comprensibile conseguenza di questa riduzione, è la maggiore attenzione non solo al costo ma anche alla qualità. Tra i nuovi valori percepiti come necessari all'acquisto assumono sempre maggiore importanza i prodotti in linea con uno stile di vita sano e a base di ingredienti naturali. Non stupisce quindi la vera e propria scalata del biologico: la percentuale di consumatori che hanno acquistato nell'ultimo anno - in almeno un'occasione - un prodotto alimentare con marchio bio è passato dal 53% del 2012 al 69% nel 2015. Cresce anche l'offerta a scaffale di prodotti bio: +26% nell'ultimo anno, a indicare che le aziende italiane hanno percepito il potenziale di questo mercato in rapida espansione; oggi il biologico vale ben il 3% del mercato degli alimenti confezionati. 

Nonostante la grande crescita dei consumi bio, il profilo di consumatore più diffuso resta quello tradizionale (38%), cui segue a breve distanza il gruppo dei consumatori consapevoli (35%). Ben il 15% dei consumatori teme il futuro, riduce la spesa alimentare e punta al risparmio; tiene il segmento di lusso (12%), decisamente più ottimista e disposto a spendere. Qui sotto, le caratteristiche socio-economiche dei gruppi di consumatori più nel dettaglio.

Commercio internazionale

Per l'agroindustriale italiano, l'export è una componente fondamentale, sia a livello di prodotti alimentari e food&beverage che di macchinari agricoli - per questi ultimi l'Italia è uno dei leader mondiali. Nel decennio 2005-2015, entrambi i segmenti hanno visto una crescita considerevole: fino all'84% per il primo, mentre per il secondo le esportazioni sono quasi raddoppiate (+90%).

Il dato più interessante riguarda la destinazione di questi prodotti. Nel decennio considerato, diminuisce il peso del mercato comunitario europeo come destinazione del Made in Italy, mentre aprono le porte alcuni mercati lontani, più nuovi e dinamici: l'incidenza dei mercati asiatici passa dal 5,6% al 10,4% per alimentari e bevande, e dal 16,4% al 23,6% per i macchinari per il F&B. Colpisce che i prodotti alimentari il cui export è cresciuto di più tra il 2005 e il 2015 siano cioccolata e caramelle (+169%), seguite dal caffè (+168%). All'ultimo posto il vino, in aumento solo dell'80%.

I mercati più promettenti: UK e EAU

Il Regno Unito e gli Emirati Arabi Uniti sono tra i mercati più promettenti per il Made in Italy. Il primo lo è soprattutto per quanto riguarda i prodotti lattiero caseari (dairy), il secondo per l'elevato tasso di penetrazione dei prodotti nostrani, in grandissima maggioranza alimentari.

Nel decennio 2005-2015, in UK, l'import di prodotti italiani è passato da un valore di 1,892 milioni di euro a 3,128 milioni. In particolare, nell'ultimo anno, cresce l'importazione del settore dairy, in aumento del 24,6%: in particolare, i formaggi più amati dai britannici sono mozzarelle, parmigiano e mascarpone. Cresce anche l'importazione di oli e vino, mentre la pasta è in calo. Nel Regno Unito, il Made in Italy è sinonimo di tradizione (24% dei consumatori) e qualità (21%); giovane età, reddito alto, elevato titolo di studio e abitudini alimentari consapevoli sono i fattori che maggiormente influenzano la scelta di prodotti nostrani, la cui ottima percezione ne facilita la penetrazione di mercato.

Negli Emirati Arabi Uniti, il valore dei prodotti agroalimentari importati dall'Italia è cresciuto sensibilmente, passando da 38,6 milioni di euro a 324,1 milioni. Circa un terzo della popolazione del Paese consuma abitualmente cibo straniero; le specialità del Made in Italy sono tra le più richieste: il 23% dei consumatori indica i prodotti italiani come i più desiderati e acquistati. La qualità percepita è la caratteristica che spinge all'acquisto più consumatori (23%), seguita dall'importanza della tradizione (20%). I consumatori abituali di cibo italiano hanno un reddito elevato - l'80% di chi ne fa un uso quotidiano o quasi - e prediligono i pasti fuori casa (75% dei consumatori).

In questo quadro, un dato che stupisce è quello relativo ai fattori che, secondo i consumatori, influenza la qualità dei prodotti Made in Italy: per ben il 42%, è la ricetta tradizionale, indipendentemente dagli ingredienti usati, a essere considerata più rilevante. Solo il 33% considera importante la lavorazione in Italia, e ancora meno consumatori (25%) ritiene importante la composizione con ingredienti 100% italiani.

Performance economico-finanziarie

L'agroalimentare italiano, insomma, sembra godere di ottima salute: secondo i dati più recenti - riferiti al 2014 - il comparto conferma la propria capità di generare un grande valore aggiunto e di raggiungere significativi livelli di produttività.

Se vuoi approfondire questo tema, ti consigliamo di scaricare lo studio completo sul sito di Agrifood Monitor

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